domenica 16 gennaio 2022

Toulouse Lautrec

 


 Francesco Rositani - Pittore – Opere – Quadri – Quotazioni – Ottone Rosai - Casa Museo – Francesco – Cristina  - Enrico Baj - 

http://www.brundarte.it/2019/12/06/picasso-lodola-mostra-arte-moderna-contemporanea-brindisi/



Henri de Toulouse-Lautrec nacque il 24 novembre 1864 in uno dei palazzi di famiglia, l'Hôtel du Bosc, presso Albi, una cittadina del Meridione della Francia, a ottanta chilometri di distanza da Tolosa. La sua era una delle famiglie più prestigiose di Francia. I Toulouse-Lautrec si consideravano discendenti da Raimondo V conte di Tolosa, padre di Baudouin, che nel 1196 avrebbe dato origine alla stirpe, contraendo matrimonio con Alix, viscontessa di Lautrec. La famiglia regnò per secoli sull'Albigese e diede i natali a valorosi soldati, militarmente attivi nelle Crociate, che tuttavia non mancavano di compiacersi con le Belle Arti: nel corso dei secoli, infatti, furono numerosi i Toulouse-Lautrec che si interessavano di disegno, e persino la nonna di Henri un giorno disse: «Se i miei figli a caccia prendono un uccello, ne ricavano tre piaceri: sparargli, mangiarlo e disegnarlo».

I genitori di Henri erano il conte Alphonse-Charles-Marie de Toulouse-Lautrec-Montfa e la contessa Adèle-Zoë-Marie-Marquette Tapié de Céleyran, ed erano cugini primi (le madri degli sposi erano sorelle). Era usanza delle famiglie nobiliari sposarsi tra consanguinei, così da preservare la purezza del sangue blu, e neanche Alphonse e Adèle si sottrassero a questa tradizione, celebrando il matrimonio in data 10 maggio 1863. Quest'unione, tuttavia, fu gravida di funeste conseguenze: i due sposi, infatti, erano sì entrambi nobili, ma erano pure assolutamente incompatibili fra di loro. Il padre di Lautrec, il conte Alphonse, era un bizzarro esibizionista ed un insaziabile dongiovanni e amava consacrarsi all'ozio e ai passatempi dei ricchi, frequentando l'alta società e seguendo la caccia e l'ippica (le corse a Chantilly erano il suo pane quotidiano). Il suo elemento era l'aria aperta, come possiamo leggere in queste parole che rivolse al figlio quando compì dodici anni:

«Tieni sempre a mente, figlio mio, che soltanto la vita all'aria aperta e alla luce del giorno è davvero salutare: qualunque essere, privato della libertà, si immiserisce e muore in breve tempo. Questo libretto sulla falconeria ti insegnerà ad apprezzare la vita in mezzo alla natura libera e sconfinata. Se un giorno dovessi conoscere l'amarezza dell'esistenza, troverai soprattutto nel cavallo, ma anche nel cane e nel falco, dei compagni preziosi, che ti aiuteranno a superare le tue afflizioni.»


Furono queste parole di estremo conforto per Henri, soprattutto nei momenti più difficili, ma che erano incompatibili con il suo temperamento indomito, dal quale fu eccitato ad avventurarsi nel buio dei cabaret parigini e non tanto nei campi all'aria aperta. Altrettanto conflittuale fu il rapporto tra Toulouse-Lautrec e la madre, una donna notoriamente pia, riservata e amorevole, ma anche bigotta, isterica, possessiva, moralista e ipocondriaca. «Mia madre: la virtù impersonificata! Soltanto ai calzoni rossi della cavalleria [si tratta dell'uniforme vestita dal padre, ndr] non ha saputo resistere» avrebbe poi detto Henri una volta divenuto adulto, quando ormai ogni residuato del cordone ombelicale era stato ormai reciso (nel corso della sua vita, infatti, Toulouse-Lautrec si emancipò sempre di più dal super-io materno, sino a divenire un bohèmienne del tutto dissimile dal nobile aristocratico che la mamma voleva che diventasse). Nonostante i vari attriti talora esistenti, tuttavia, Adèle non mancò di stare vicino al figlio, anche nei suoi momenti più difficili.

Questo matrimonio tra consanguinei, però, fu catastrofico non solo per le incompatibilità caratteriali presenti tra i due coniugi, ma anche perché comportò gravissime conseguenze nel patrimonio genetico del figlio: non era raro, infatti, che nella famiglia Toulouse-Lautrec nascessero figli deformi, malati, o addirittura morenti, come il secondogenito Richard che, nato nel 1868, perì in tenera infanzia. La famiglia nel XIX secolo apparteneva alla tipica aristocrazia di provincia, proprietaria terriera, e conduceva una vita agiata tra i vari castelli di proprietà nel Midi e nella Gironde grazie ai proventi dei loro vigneti e poderi. A Parigi erano proprietari di appartamenti nei quartieri residenziali e possedevano una tenuta di caccia nel Sologne. Politicamente si schierava tra i legittimisti e non a caso Lautrec venne chiamato Henri, in omaggio al pretendente al trono il conte di Chambord.

Infanzia


Il giovane Henri ebbe un'infanzia idilliaca, vezzeggiato com'era nei vari castelli di proprietà della famiglia, dove poteva godere della compagnia di cugini, amici, cavalli, cani, falconi. La sua fanciullezza non risentì minimamente del fatto che i genitori, pur rimanendo formalmente in matrimonio, dopo la morte del secondogenito vivevano separatamente, complice anche un'incompatibilità di carattere così marcata: pur non mancando di frequentare il padre, Henri andò a vivere dalla madre, dalla quale era affettuosamente chiamato petit bijou [gioiellino] o bébé lou poulit [bambino grazioso]. Per il giovane Toulouse-Lautrec la madre era un imprescindibile punto di riferimento: è questo un fattore che non va dimenticato, soprattutto alla luce della futura vita bohèmienne del pittore, come abbiamo già avuto modo di rimarcare. Adèle non sospettava minimamente delle malattie che avrebbero funestato l'esistenza del figlioletto da lì a breve.

Nel 1872 Lautrec seguì la madre a Parigi per frequentare il Lycée Fontanes (oggi Liceo Condorcet). Qui conobbe Maurice Joyant, di origine alsaziana, che divenne suo amico fidato, ed il pittore animalista René Princeteau, prezioso conoscente del padre. Sia Joyant che Princeteau riconobbero presto il genio di Henri e lo incoraggiarono apertamente: il bambino, d'altronde, disegnava già da quando aveva quattro anni e il confronto con pittori di una certa levatura certamente accrebbe la sua sensibilità artistica. A dieci anni, tuttavia, la vita di Henri prese una piega spiacevolmente imprevista. La sua fragile salute iniziò infatti a deteriorarsi in maniera allarmante: quando egli compì dieci anni, poi, si scoprì che soffriva di una deformazione ossea congenita, la picnodisostosi, che gli procurava fortissimi dolori (alcuni medici, tuttavia, hanno avanzato l'ipotesi che si possa essere trattata di osteogenesi imperfetta).

La madre, preoccupata dalla cagionevolezza del figlio, lo prelevò dal Lycée Fontanes (poi Condorcet) di Parigi, lo allocò presso tutori privati nella magione familiare di Albi e tentò di sottoporlo a cure termali, nell'estremo tentativo di alleviare il suo dolore. Fu tutto inutile: né le terapie azzardate dalla madre, né le riduzioni delle due tremende fratture della testa del femore (probabilmente eseguite maldestramente) sortirono alcun effetto e, anzi, l'andatura di Toulouse-Lautrec iniziò a farsi caracollante, le sue labbra si inturgidirono e i suoi lineamenti diventarono grottescamente volgari, così come la lingua, dalla quale egli derivò vistosi difetti di pronuncia. Nel 1878, ad Albi, nel salone della casa natale, Henri cadde sul parquet mal incerato e si ruppe il femore sinistro; l'anno successivo, durante un soggiorno a Barèges, mentre aveva ancora l'apparecchio ortopedico alla gamba sinistra, cadendo in un fossato si ruppe l'altra gamba. Queste fratture non guarirono mai e gli impedirono un armonioso sviluppo scheletrico: le sue gambe smisero infatti di crescere, così che da adulto, pur non essendo affetto da vero nanismo, rimase alto solo 1,52 m, avendo sviluppato un busto normale ma mantenendo le gambe di un bambino.

I lunghi periodi di convalescenza in sanatorio costrinsero Henri all'immobilità, e gli risultavano certamente sgraditi e noiosi. Fu in quest'occasione che Toulouse-Lautrec, per ammazzare il tempo, approfondì la propria passione per la pittura, coltivandola con forza e dedizione sempre maggiori, disegnando incessantemente su quaderni da disegno, album e pezzetti di carta, e sognando forse una guarigione che mai arriverà. A questo periodo sono databili una serie di esili quadretti che, pur non palesando il genio dell'enfant prodige, denotavano certamente una mano sciolta, sicura e una perizia tecnica molto sviluppata. I soggetti di questi primi cimenti pittorici sono legati al mondo equestre: «i cavalli, se non poteva cavalcarli, voleva almeno saperli dipingere!» ha osservato giustamente il critico Matthias Arnold. Cani, cavalli e scene di caccia erano d'altronde soggetti familiari al giovane Henri (che crebbe sotto il segno della passione paterna per l'equitazione) ma anche indicati per la formazione dei giovani pittori. Non va ignorato, inoltre, il fatto che con la realizzazione di opere come Souvenir d'Auteuil e Alphonse de Toulouse-Lautrec alla carrozza Henri tentava disperatamente di guadagnarsi la stima del padre: Alphonse, infatti, aveva da sempre desiderato di poter rendere il suo piccolo ometto in un gentiluomo con gli hobby dell'equitazione, della caccia e della pittura (sia lui che i fratelli Charles e Odon erano pittori dilettanti), e in quel momento si ritrovava invece un figliolo costretto a letto e fisicamente deforme.

Secondo un racconto forse apocrifo, a chi lo derideva per la bassa statura, Lautrec rispondeva: «Ho la statura del mio casato», citando la lunghezza del suo cognome nobiliare (de Toulouse-Lautrec-Montfa). Questa battuta pronta, seppur brillante, non rendeva tuttavia Toulouse-Lautrec fisicamente adatto a partecipare alla maggior parte delle attività sportive e sociali solitamente intraprese dagli uomini del suo ceto sociale: fu per questo motivo che egli si immerse completamente nella sua arte, trasformando quello che era un iniziale passatempo in una gridatissima vocazione. Quando, dopo aver faticosamente conseguito la maturità liceale, nel novembre 1881 Henri annunciò ai genitori di non voler perdere ulteriore tempo e di diventare pittore, i genitori assecondarono pienamente la sua scelta. «Di una resistenza dei genitori ai progetti del figlio, tema ricorrente nelle biografie di artisti, non ci è giunta per i Toulouse-Lautrec alcuna notizia» osserva ancora l'Arnold «se Lautrec in seguito ebbe dei contrasti con i parenti non fu perché dipingeva, ma per ciò che dipingeva e come». Bisogna ricordare, tuttavia, che negli esordi artistici di Henri i soggetti prescelti per i suoi dipinti restavano nel solco della tradizione, e ciò certamente non dovette destare preoccupazioni familiari.

Formazione artistica

Consapevole che non sarebbe mai riuscito a plasmare Henri a propria immagine e somiglianza, Alphonse accettò la scelta del figlio e chiese consiglio a quanti, fra i suoi amici, praticavano la pittura, ovverosia Princeteau, John Lewis Brown e Jean-Louis Forain, che gli consigliarono di incoraggiare la passione del figlio e di incanalarla nella tradizione accademica. Toulouse-Lautrec in un primo momento pensò di seguire le lezioni di Alexandre Cabanel, pittore che dopo aver stupito nel 1863 il pubblico del Salon con la sua Venere godeva di notevole prestigio artistico ed era in grado di garantire ai propri discepoli un futuro brillante. Il sovrannumero di richieste, tuttavia, dissuase Henri dal seguirne le lezioni.[1]


Toulouse-Lautrec, pur essendo in possesso di una discreta perizia tecnica, comprendeva di essere ancora immaturo sotto il profilo pittorico e sapeva di avere assolutamente bisogno di perfezionare la propria mano sotto la guida di un artista accademico di solida fama. Fu per questo motivo che, nell'aprile del 1882, egli optò per i corsi di Léon Bonnat, pittore che godeva di una grande popolarità nella Parigi dell'epoca e che, successivamente, formò anche Edvard Munch. Il servizio didattico erogato da Bonnat prevedeva una pratica del disegno condotta con ferrea disciplina: Toulouse-Lautrec studiò con fervore e dedizione quanto gli veniva assegnato, anche se alla fine la sua passione per la pittura non mancò di generare notevoli attriti con il maestro. «La pittura non è niente male, questo è eccellente, insomma ... niente male. Ma il disegno è veramente terribile!» borbottò una volta Bonnat al discepolo: Toulouse-Lautrec ricordò con grande rammarico questo rimprovero, anche perché le sue opere - seppur ancora acerbe, in un certo senso - denotavano già un grande talento grafico e pittorico.

Fortunatamente il discepolato con Bonnat non durò a lungo. Dopo soli tre mesi di pratica, infatti, Bonnat chiuse lo studio privato perché fu nominato professore all'École des Beaux-Arts. Lautrec, in seguito a questo'evento, entrò nello studio di Fernand Cormon, un pittore da salotto illustre come il Bonnat ma che, pur mantenendosi nel solco della tradizione, tollerava le nuove tendenze avanguardiste e, anzi, dipingeva egli stesso soggetti inconsueti, come quelli preistorici. Nello stimolante atelier di Cormon a Montmartre Toulouse-Lautrec venne a contatto con Emile BernardEugène Lomont, Albert Grenier, Louis Anquetin e Vincent van Gogh, che era di passaggio nella capitale francese nel 1886. «Gli sono piaciuti soprattutto i miei disegni. Le correzioni di Cormon sono molto più benevole di quelle di Bonnat. Osserva tutto quello che gli si sottopone e incoraggia molto. Vi stupirete, ma questo mi piace meno! Le sferzate del mio precedente patrono facevano male, e io non mi risparmiavo. Qui mi sono un po' infiacchito e devo farmi forza per fare un disegno accurato, visto che agli occhi di Cormon uno peggiore sarebbe già stato sufficiente» scrisse una volta Henri ai genitori, tradendo dietro un'apparente modestia la soddisfazione di esser stato lodato da un pittore prestigioso come Cormon (oggi considerato di secondaria importanza, vero, ma all'epoca assolutamente di primo grido).

Maturità artistica

Sentendosi influenzato negativamente dalle formule accademiche, nel gennaio del 1884 Toulouse lasciò l'atelier di Cormon e ne fondò uno proprio a Montmartre. Si tratta questa di una scelta assai significativa: Henri infatti non scelse un quartiere che si confacesse alle sue origini aristocratiche, quale poteva essere quello intorno a place Vendôme, bensì preferì ad esso un sobborgo vivace, colorito, ricco di cabaret, di café-chantants, di case di tolleranza e di locali di dubbia fama, quale era Montmartre (di queste interessanti peculiarità se ne parlerà nel paragrafo Toulouse-Lautrec: l'astro di Montmartre). I genitori furono scandalizzati dalle preferenze di Henri: la madre, infatti, mal tollerava che il suo primogenito risiedesse in un quartiere che riteneva moralmente discutibile, mentre il padre temeva che in tal modo si sarebbe potuto infangare il buon nome della famiglia, e perciò impose al figlio di firmare le sue prime opere con pseudonimi (come Tréclau, anagramma di «Lautrec»). Toulouse-Lautrec, spirito vulcanico ed insofferente ai freni, inizialmente si adeguò a questa prescrizione, per poi finire a firmare i quadri con il suo nome o con un elegante monogramma recante le sue iniziali.

Con il suo carisma spiritoso e cortese, il petit homme [ometto] familiarizzò molto presto con gli abitanti di Montmartre e con gli avventori dei suoi locali. Qui, infatti, si diede a un'esistenza sregolata e anticonformista, squisitamente bohémienne, frequentando assiduamente locali come il Moulin de la Galette, il Café du Rat-Mort, il Moulin Rouge e traendo da essi la linfa vitale che animò le sue opere d'arte. Toulouse-Lautrec non disdegnò affatto la compagnia di intellettuali e artisti, e le sue simpatie nei confronti della consorteria dei dandies sono ben note. Egli, tuttavia, preferì porsi dalla parte dei diseredati, delle vittime: pur essendo di matrice aristocratica, infatti, egli stesso si sentiva un escluso, e ciò certamente alimentò il suo affetto per le prostitute, per i cantanti sfruttati e per le modelle che bazzicavano intorno a Montmartre. Un amico lo avrebbe ricordato in questi termini: «Lautrec aveva il dono di accattivarsi le simpatie di tutti: non aveva mai parole provocatorie per nessuno e non cercava mai di fare dello spirito a spese degli altri». Il suo corpo grottescamente deforme non costituiva poi impedimento a dongiovannesche avventure: infuocatissima fu la relazione sentimentale che lo legò con Suzanne Valadon, un'ex acrobata circense che dopo un incidente decise di cimentarsi coi pennelli. La loro storia d'amore finì poi burrascosamente e la Valadon tentò persino il suicidio nella speranza di farsi sposare dall'artista di Montmartre, che alla fine la ripudiò.

Furono questi anni assai fecondi anche sotto il profilo artistico. Importantissima, in tal senso, l'amicizia con Aristide Bruant: era costui un chansonnier che fece fortuna con battute salaci ed irriverenti rivolte al pubblico e che «aveva affascinato Lautrec con gli atteggiamenti da ribaldo anarchico mescolati a esplosioni di ingenua tenerezza, con le manifestazioni di una cultura in fondo modesta, cui dava colore la volgarità verbale» (Maria Cionini Visani). Nel 1885 il Bruant, legato al Lautrec da una sincera e vicendevole stima, accettò di cantare al Les Ambassadeurs, uno dei caffè-concerto più rinomati degli Champs-Élysées, se e solo se il proprietario fosse stato disposto a pubblicizzare il suo evento con un manifesto appositamente disegnato dall'artista. Ancora più clamoroso, poi, fu il manifesto che nel 1891 realizzò per il Moulin Rouge, grazie al quale sia lui che il locale divennero famosi di colpo. Da quell'anno in poi capolavori destinati a divenire illustri si seguirono a ritmi sempre più incalzanti: si ricordano, in particolare, Al Moulin Rouge (1892-95), Al Salon di rue des Moulins (1894) e il Salottino privato (1899).

Egli, inoltre, partecipò assiduamente alle varie mostre ed esposizioni d'arte europee, e arrivò persino a tenerne di proprie. Fondamentale, in tal senso, è stata l'intercessione del pittore belga Théo van Rysselberghe, il quale dopo aver assistito al talento del pittore lo invitò nel 1888 ad esporre a Bruxelles con il gruppo dei XX, il punto d'incontro più vivace delle varie correnti dell'arte contemporanea. Anche in quest'occasione Lautrec non mancò di dare prova della sua indole sanguigna e tempestosa. Quando un certo Henry de Groux inveì contro «quello schifo dei girasoli di un certo signor Vincent [van Gogh]», Toulouse-Lautrec si lasciò vincere da un'ira furibonda e sfidò tale detrattore a duello per il giorno dopo: la lite non degenerò solo grazie al salvifico intervento di Octave Maus, che riuscì miracolosamente a placare gli animi. Vale la pena, infatti, ricordare il profondo affetto che legava Toulouse-Lautrec a Vincent van Gogh, artista oggi celeberrimo ma all'epoca misconosciuto: i due erano accomunati da una grande sensibilità, sia artistica che umana, e dalla medesima solitudine esistenziale (di questa bella amicizia oggi ci rimane un ritratto di Vincent van Gogh). Al di là degli screzi con il de Groux, Toulouse-Lautrec fu profondamente inorgoglito dall'esperienza avuta con il gruppo dei XX e anche dalle reazioni della critica, che si dichiarò colpita dall'acutezza psicologica e dalle originalità compositive e cromatiche delle opere ivi esposte. Stimolato da questo primo successo Toulouse-Lautrec partecipò regolarmente al Salon des Indèpendants dal 1889 al 1894, al Salon des Arts Incohérents nel 1889, all'Exposition des Vingt nel 1890 e nel 1892, al Circle Volnay e al Barc de Boutteville nel 1892 e al Salon de la Libre Esthétique di Bruxelles nel 1894: il successo riscosso fu tale da permettergli di inaugurare anche mostre personali, come quella del febbraio 1893 allestita presso la galleria Boussod e Valadon.


Frequenti anche i viaggi: fu, come si è già detto, a Bruxelles, ma anche in Spagna, dove ebbe modo di ammirare Goya ed El Greco, e a Valvins. La città che più lo folgorò, tuttavia, fu Londra. Toulouse-Lautrec, infatti, parlava l'inglese molto bene ed ammirava incondizionatamente la cultura britannica: a Londra, dove si recò nel 1892, 1894, 1895 e nel 1897, egli ebbe come si può ben immaginare l'opportunità di esprimere la sua anglofilia, stringendo tra l'altro amicizia con il pittore James Abbott McNeill Whistler, del quale apprezzava molto il giapponismo e le sinfonie cromatiche, e con Oscar Wilde, alfiere del dandysmo e commediografo che miscelava sapientemente una brillante conversazione con una raffinata spregiudicatezza. La stima che nutriva verso il Whistler e il Wilde, tra l'altro, fu prontamente ricambiata: il primo dedicò al pittore un banchetto al Savoy di Londra, mentre il secondo affermò che la sua arte era «un coraggioso tentativo di rimettere al suo posto la natura».


Ultimi anni


Ben presto, tuttavia, scoccò per Toulouse-Lautrec l'ora del crepuscolo umano e artistico. Il pittore, come si ha avuto modo di osservare, assumeva pose da enfant terrible, e questo suo stile di vita comportò conseguenze funeste per la sua salute: prima ancora di compiere trent'anni, infatti, la sua costituzione era minata dalla sifilide, contratta nei bordelli parigini, dove ormai era di casa. Proverbiale era il suo appetito sessuale, e il suo essere "ben dotato" gli valse in quell'ambiente il soprannome di cafetière. Come se non bastasse l'assidua frequentazione dei locali di Montmartre, dove l'alcol veniva servito fino all'alba, portò Toulouse-Lautrec a bere senza alcun freno, compiaciuto di gustare la vertigine del deragliamento dei sensi: fra le bevande che più consumava vi era l'assenzio, distillato dalle disastrose qualità tossiche che tuttavia poteva offrirgli un rifugio consolatorio, anche se artificiale, a poco prezzo. Già nel 1897 la dipendenza dagli alcolici aveva preso il sopravvento: allo «gnomo familiare e benevolo», come scrisse Mac Orlan, subentrò così un uomo spesso ubriaco fradicio, odioso e irascibile, tormentato da allucinazioni, accessi di estrema aggressività (spesso veniva alle mani, e una volta fu pure arrestato) ed atroci fantasie paranoidi («scoppi di collera si alternavano a risate isteriche e a momenti di completa ebetudine durante i quali restava incosciente [...] il ronzio delle mosche lo esasperava, dormiva col bastone da passeggio sul letto, pronto a difendersi da possibili aggressori, una volta sparò con un fucile a un ragno sul muro» racconta la Crispino). Logorato e invecchiato, Toulouse-Lautrec fu costretto a sospendere la sua attività artistica, con la sua salute che degenerò nel marzo del 1899 con un violentissimo accesso di delirium tremens.

In seguito all'ennesima crisi etilica Toulouse-Lautrec, su consiglio degli amici, volle sottrarsi da quella «rara letargia» nella quale era precipitato con l'abuso degli alcolici e si fece ricoverare nella clinica per malattie mentali del dottor Sémelaigne a Neuilly. La stampa non perse occasione per screditare l'artista e le sue opere e pertanto si cimentò in una feroce campagna denigratoria: Toulouse-Lautrec, per dimostrare al mondo e ai medici di essere completamente in possesso delle sue facoltà mentali e lavorative, si immerse completamente nel disegno e riprodusse su carta dei numeri di circo ai quali aveva assistito decenni prima. Dopo soli tre mesi di degenza, alla fine, Toulouse-Lautrec fu dimesso: «Ho comprato la libertà con i miei disegni!» amava ripetere ridendo.


Toulouse-Lautrec, in realtà, non si liberò mai della tirannia degli alcolici e, anzi, le dimissioni dalla clinica segnarono solo l'inizio dalla fine. La ripresa non fu di lunga durata e, disperato per la sua decadenza fisica e morale, nel 1890 Toulouse-Lautrec per ristabilirsi in salute si trasferì prima ad Albi, e poi a Le Crotoy, Le Havre, Bordeaux, Taussat, e ancora a Malromé, dove tentò di produrre nuovi dipinti. Ma a nulla servì questa convalescenza: le sue energie creative si erano ormai esaurite da tempo, così come la sua gioia di vivere, e anche la sua produzione iniziò a palesare una notevole caduta di qualità. «Magro, debole, con poco appetito, ma lucido come sempre e talvolta pieno del suo vecchio spirito»: così lo tratteggiava un amico. Una volta tornato a Parigi, dove le sue opere avevano iniziato a riscuotere un successo furioso, il pittore fu collocato sotto la custodia di un lontano parente, Paul Viaud: anche questo tentativo di disintossicazione, tuttavia, fu vano, siccome Toulouse-Lautrec tornò ad assumere sregolatamente alcolici e, si pensa, anche oppio. Nel 1900 sopravvenne un'improvvisa paralisi alle gambe, che fu fortunatamente domata grazie ad un trattamento elettrico: la salute del pittore, nonostante questo apparente successo, era tuttavia così declinante da spegnere ogni speranza.

Nell'aprile 1901, infatti, Toulouse-Lautrec tornò a Parigi per fare testamento, per portare a compimento i dipinti e i disegni lasciati incompiuti e per riordinare l'atelier: successivamente, dopo un'improvvisa emiplegia causata da un insulto apoplettico, si trasferì dalla madre a Malromé, nel castello di famiglia, dove trascorse, tra l'inerzia e il dolore, gli ultimi giorni della sua vita. Il suo destino era segnato: per il dolore non riusciva a mangiare, e portare a compimento gli ultimi ritratti gli costò un'enorme fatica. Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa, ultimo erede della gloriosa famiglia nobile sin dai tempi di Carlo Magno, si spense alla fine alle ore 2:15 del 9 settembre 1901, assistito al capezzale dalla madre disperata: non aveva che trentasei anni. Le sue spoglie furono dapprima inumate a Saint-André-du-Bois, per poi essere traslate nella vicina città di Verdelais, in Gironda.






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