venerdì 23 dicembre 2022

Filippo De Pisis

   francesco Rositani - Pittore – Opere – Quadri – Quotazioni – Ottone Rosai - Casa Museo – Francesco – Cristina  - Alberto Salietti - 

http://www.brundarte.it/2019/12/06/picasso-lodola-mostra-arte-moderna-contemporanea-brindisi/



Filippo De Pisis pseudonimo di Filippo Tibertelli (Ferrara, 11 maggio 1896 – Milano, 2 aprile 1956). 

A Ferrara nel 1915 incontra De Chirico e il fratello Alberto Savinio e nel 1917 Carlo Carrà. Si entusiasma rimanendo suggestionato del loro modo di concepire la pittura, e inizialmente, ne condivide lo stile metafisico. 

All’inizio degli anni Venti, gli si aprono nuovi orizzonti pittorici: inizia a rielaborare un suo stile fatto di suggestioni e soggetti del tutto originali. 

Nel 1925 si trasferisce a Parigi e vi rimane interrottamente per quattordici anni rivelandosi proficuo sotto l’aspetto artistico. Conosce Edouard Manet, Camille Corot, Henri Matisse e i Fauves. Oltre alle nature morte, dipinge paesaggi urbani, nudi maschili e immagini d’ermafroditi. 

Nel 1926, presentato da De Chirico, organizza la sua prima mostra personale parigina. Qui entra a far parte degli "italiani di Parigi", un gruppo d’artisti che comprendeva de Chirico, Savinio, Massimo Campigli e Mario Tozzi. 

Nel 1940, i sintomi della malattia nervosa, della quale era affetto fin da ragazzo, sono sempre più evidenti. Si trasferisce a Milano e nel 1944 è a Venezia a studiare la pittura di Francesco Guardi e degli altri maestri veneziani del XVIII secolo. 

Più tardi, a Roma, scoperti i toni caldi della pittura settecentesca, li riversa nelle nature morte e nei fiori, che diventano i soggetti prediletti. Le sue opere ottengono il successo che si merita soprattutto alle Biennali di Venezia del 1948 e del 1954. 

Le precarie condizioni di salute degli ultimi anni di vita non gli permettono più di svolgere alcun lavoro.Viene ricoverato in una clinica di Milano dove muore il 2 aprile del 1956.




lunedì 5 dicembre 2022

Maurice Utrillo

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Serigrafia colorata a mano con tempera

Venne al mondo il 26 dicembre 1883. Sua madre Suzanne Valadon, ragazza nota per la sua bellezza e per i suoi facili costumi, posava per diversi artisti e dipingeva anch’ella.

Non rivelò mai chi fosse il padre e attorno a questa vicenda è ben noto un aneddoto. Suzanne, una volta nato il bambino, iniziò a vagare di studio in studio, alla ricerca del presunto padre. Interpellato, Renoir rispose: “Non può essere mio, ha un colore orribile!”. Anche Degas non riconobbe il piccolo dicendo: “Non può essere mio, ha una forma terribile!”. Così nel 1881 il piccolo venne riconosciuto da un pittore catalano, Miquel Utrillo i Morlius, che disse: “Sarei molto felice di dare il mio nome ad uno dei lavori di Renoir o Degas!”.

Malaticcio e sofferente, visse con la nonna materna che, per fronteggiare le frequenti crisi epilettiche, gli faceva tracannare grossi bicchieri di vino rosso. Questa precoce inclinazione all’alcolismo gli valse il soprannome di Litrillo, affibbiatogli dai bambini del quartiere.

Trascorse gli anni dell’adolescenza negli ospedali per curare le malattie neurologiche e la sua dipendenza dall’alcool. Quando era fuori, nei bistrot frequentati dalla madre, alle prime avvisaglie di una possibile crisi, veniva legato per ore per evitare che distruggesse l’intero locale.

Dal canto suo, la madre era troppo presa a soddisfare i suoi clienti per prendersi cura del giovane.

Su consiglio dei medici, Suzanne lo incoraggiò a dipingere, impartendogli i primi rudimenti del disegno e della pittura e notando che quello sfortunato giovane nascondeva un precoce talento. La cura diede i suoi frutti: Maurice passava intere giornate sulle sue tele, intento a raffigurare le strade di Montmartre. Le sue opere si caratterizzano per le tonalità chiare e gessose, per le vie quasi sempre deserte e per la vena malinconica.

L’amore e il successo arrivarono molto tardi. All’età di cinquantadue anni sposò Lucie Valore, una vedova più grande di lui che in breve tempo si impossessò di tutti i suoi averi. Vecchio, pazzo e malato, dipingeva paesaggi visti dalla finestra, da cartoline o a memoria perché non era più in grado di lavorare en plen air.

La sua pittura parla di solitudine, di abbandono e di vuoto. Anche in una città piena di vita come Parigi, i suoi quadri restano deserti, aridi come un cuore che, suo malgrado, non ha mai conosciuto affetto e amore. Morì nel 1955, solo, come quando era venuto al mondo.

https://www.1stdibs.com/creators/after-maurice-utrillo/art/












lunedì 21 novembre 2022

Mimo Rotella

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Artista dalla multiforme personalità e dalle concezioni visive intense e sempre allineate a un gusto avanguardistico, Mimmo Rotella nasce a Catanzaro il 7 ottobre 1918 e, conseguita la maturità artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, si stabilisce a Roma nel 1945. La prima fase della sua attività è caratterizzata dalla sperimentazione di stili pittorici diversi che lo porterà a rivoluzionare i linguaggi artistici del dopoguerra. Nel 1951 Rotella allestisce la prima mostra personale alla Galleria Chiurazzi di Roma, che ottiene ampia risonanza. I quadri di Rotella cominciano dunque a suscitare notevole interesse tanto che nello stesso anno gli viene assegnata una borsa di studio dalla Fulbright Foundation. Può così permettersi di frequentare la prestigiosa Università di Kansas City. Rotella ricambia l’istituzione con la realizzazione di un pannello murale nella Facoltà di Fisica e con la prima registrazione dei poemi fonetici da lui definiti “epistaltici”. Nel 1952 è invitato dalla Harvard University per una performance di poesia fonetica a Boston e dalla Library of Congress di Washington per la registrazione di alcuni poemi fonetici. Tornato in Italia, dopo una fase di riflessione sui mezzi della pittura e sulla necessità di utilizzare nuovi strumenti, inventa la tecnica del "dècollage", caratterizzata dallo strappo di manifesti pubblicitari affissi nelle strade i cui frammenti, siano essi il recto o il verso, sono incollati sulla tela. Esempi memorabili di questa fase sono “Un poco in su” e “Collage”, entrambi del 1954. Dal 1958 Rotella abbandona gradualmente le composizioni puramente astratte per realizzare dècollage con immagini chiaramente leggibili. Questa tendenza culmina nella serie “Cinecittà “, realizzata nel 1962 (che comprende “Eroi in galera” e “Tre minuti di tempo”) e in quella dedicata alle stelle del cinema e a personaggi famosi (“Assalto della notte”, 1962; “Marilyn calda”, 1963 e così via).

Sono degli anni ’60 e seguenti i lavori dedicati alle affiches del cinema mondiale con i volti dei grandi miti di Hollywood. Nel 1961 Mimmo Rotella aderisce, su invito del critico Pierre Restany, al gruppo dei Nouveaux Rèalistes, nel cui ambito già Raymond Hains, Jacques Mah de la Villeglè, Francois Dufrène utilizzavano i manifesti pubblicitari con procedimenti analoghi a suoi. Trasferitosi a Parigi nel 1964 il pittore Mimmo Rotella lavora ancora sulla definizione di una nuova tecnica, la Mec Art, con cui realizza opere servendosi di procedimenti meccanici su tele emulsionate.

 Nel 1972 pubblica per la Casa Editrice Sugar il volume autobiografico “Autorotella” esibendosi, in occasione della presentazione del libro al Circolo Culturale Formentini di Milano, in una performance con i suoi poemi fonetici. 

Le opere di Mimmo Rotella degli anni ’70 sono segnate da frequenti viaggi in USA, India, Nepal, per stabilirsi definitivamente a Milano nel 1980. Appartengono agli inizi degli anni ’80 le “Coperture”, manifesti che Mimmo Rotella ricopre di fogli che occultano l’immagine sottostante.

Torna alla pittura alla metà del decennio con il ciclo “Cinecittà 2” in cui riprende il tema del cinema affrontato in tele di grandi dimensioni e con la serie “Sovrapitture” su collage e su lamiera: questi interventi pittorici su manifesti lacerati e incollati su pannelli metallici caratterizzano la stagione più recente dell’artista. È morto a Milano l’8 gennaio del 2006.






giovedì 29 settembre 2022

Aldo Alberti

Francesco Rositani - Pittore – Opere – Quadri – Quotazioni – Ottone Rosai - Casa Museo – Francesco – Cristina  - Alberto Salietti - 

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Omaggio ad Arturo Tosi (Casa Museo Francesco Cristina)


Aldo Alberti (Busto Arsizio, 21 novembre 1912 - Busto Arsizio, 22 gennaio 2014)

Fin da giovane Alberti manifestava un'inclinazione al disegno che venne subito notata dagli artisti della sua città natale che, con le loro influenze, contribuirono alla sua crescita artista e personale. Rifiutatosi si iscriversi all'Accademia di belle arti di Brera, si fece largo nel mondo dell'arte da autodidatta frequentando le biblioteche d'arte e gli studi di altri pittori.

Tra i soggetti più rappresentanti dall'artista ha un ruolo fondamentale il nudo femminile, con la donna ritratta spesso dolente e piegata su se stessa, fino ad arrivare ad alcune opere in cui il soggetto è raffigurato in posizione fetale.

Il suo esordio risale agli anni 1930, quando prese parte ad alcune mostre collettive organizzate dal sindacato fascista. Nel 1935 lasciò Busto Arsizio per prendere parte alla seconda guerra mondiale, durante la quale fu fatto prigioniero e trasferito in Germania, nel campo di concentramento di Schongau. Durante il periodo della carcerazione passava il suo tempo disegnando per trovare consolazione alle sofferenze della prigionia. Tornato a casa nel 1945 si dedicò interamente alla pittura e continuò a dipingere per il resto della sua vita.

La sua prima mostra personale risale al 1952 presso la Galleria Crespi di Busto Arsizio, che ospitò una seconda mostra nel 1954, anno in cui espose per la prima volta anche presso la Galleria Pagani.

Negli anni 1960 iniziò la sua partecipazione a prestigiose mostre collettive, come quella del 1966 alla Biennale nazionale d'arte sacra contemporanea a BolognaMilano e Roma. Nel 1970 prese parte alla mostra Arte e Sport voluta dal CONI e organizzata presso il Palazzo dei Congressi di Firenze.

Nel 1977 divenne membro dell'Associazione Liberi artisti della provincia di Varese e prese parte a tutte le successive rassegne collettiva organizzate dal sodalizio. Nello stesso anno espose a Imago, esperienze di pittura e scultura contemporanea, a Samarate. Nel 1990 partecipò alla mostra Arte in Permanente, presso La Permanente di Milano. Sempre a Milano, nel 1994 espose alla mostra Liricità e immagine presso la Galleria d'Arte Ciovasso.

Nella sua città natale, Busto Arsizio, tornò ad esporre nel 1995 nell'ambito della mostra Arte a Busto Arsizio allestita presso Palazzo Marliani-Cicogna (che ospita ancora alcune sue opere) e Palazzo Bandera. Nel 2000 la città di Busto Arsizio gli ha dedicato una mostra antologica a cura di Elena Pontiggia. Nel 2005 Luigi Piatti pubblicò una monografia dedicata ad Aldo Alberti.





mercoledì 31 agosto 2022

Milo Cattaneo

 

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Milo Cattaneo (1940)
Pittore milanese che si esprime con opere astratte,
dai colori marcati, e primari.

Poeta visivo.




sabato 16 luglio 2022

Paolo Troubetzkoy

 


  francesco Rositani - Pittore – Opere – Quadri – Quotazioni – Ottone Rosai - Casa Museo – Francesco – Cristina  - Alberto Salietti - 

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Il principe Paolo (anche Pawel, Paul) Troubetskoy II nacque in Italia, a Verbania-Intra da padre russo (il diplomatico principe Pierre Troubetzkoy) e madre statunitense, la pianista Ada Winans.

Studiò scultura con Ernesto Bazzaro e Giuseppe Grandi e pittura con Daniele Ranzoni, ma fu in buona parte autodidatta.

Poliglotta, partecipe dell'aristocrazia internazionale della Belle époque che seppe splendidamente ritrarre nelle sue sculture, Troubetzkoy lavorò e risiedette in Russia (insegnò all'Accademia Imperiale di Belle Arti di Mosca per nove anni, dal 1897 al 1906), Francia (a Parigi, dove studiò a fondo l'opera di Rodin, e dove nel 1900 aveva vinto il Grand Prix), Inghilterra, Stati Uniti (prima a New York nel 1911 e poi, dal 1914, a Hollywood), oltre che in Italia (a Verbania-Pallanza esiste ancora la Villa Troubetzkoy, dove tornò ad abitare nel 1932).

Morì a Verbania-Pallanza nel 1938.

 

Attività come scultore

Nobile di nascita e ricco, Troubetzkoy, pur dimostrandosi un abile impresario della propria arte, non si trovò mai nella necessità di lavorare come scultore per vivere, né amò mescolarsi ai movimenti artistici contemporanei. Ciò finì per nuocere alla sua fama tra i critici e i colleghi italiani, che ebbero buon gioco nel dargli l'etichetta, tuttora non dissipata, di "ricco dilettante".

D'altro canto la sicurezza economica gli permise di sviluppare in assoluta indipendenza uno stile personalissimo, senza curarsi delle richieste dei galleristi, e tantomeno delle scuole artistiche del periodo, nelle quali è oggi arduo riuscire ad inquadrarlo. Il suo stile scultoreo è fatto di un nervoso "impressionismo", che ha origine nella sua vicinanza giovanile a personaggi della Scapigliatura come il suo maestro Francesco Filippini, a cui dedicherà una scultura, a rapidi gesti di spatola su un gesso molto liquido, dal quale il ritratto "prende forma" nella parte del vertice contenente il volto, dove i gesti rallentano e i tratti emergono da una specie di foschia, dovuta alla scelta costante del "non finito" nella trattazione delle superfici.

Cultore di una scultura che privilegiava gli aspetti intimistici e quotidiani, a volte dai tratti un po' melanconici, Troubetzkoy ebbe difficoltà a veder riconoscere in Italia le sue capacità dalla committenza pubblica.
Per questo le sue opere di maggiori dimensioni o si trovano all'estero, o sono rimaste allo stato preparatorio di gessi.
Questi gessi oggi possono essere agevolmente ammirati perché da lui lasciati, alla sua morte, al Museo del Paesaggio di Verbania-Pallanza, che riserva un intero piano all'esposizione della Gipsoteca Troubetzkoy.

 

Ritrattista della Belle époque

Per la sua nascita Troubetzkoy frequentò la migliore società del suo tempo e, fra i ritratti conservati nel Museo del Paesaggio (eseguiti in buona parte all'estero), appaiono committenti come il barone de Rotschild, il conte Robert de MontesquiouGeorge Bernard ShawGabriele D'AnnunzioLev TolstojArturo ToscaniniEnrico Caruso, personaggi dell'alta nobiltà russa e della politica del tempo.

Accanto ad essi troviamo ritratti di colleghi artisti (splendido il ritratto di Giovanni Segantini, del 1896, collocato dalla famiglia sulla sua tomba), di famigliari (sono numerosi i ritratti di bambini, o di padri e madri coi figli), e di animali, che amò molto (era vegetariano) e che inserì con frequenza nei suoi ritratti.

 

 

Alcune opere

Monumento ai Caduti (Verbania-Pallanza)

Un esempio della poetica intimista di Troubetzkoy è il Monumento ai Caduti di Verbania-Pallanza, in bronzo (1922), che opera una scelta nettamente anti-retorica del tutto insolita per il tempo.

Anziché raffigurare un caduto in atteggiamento eroico o marziale, infatti, Troubetzkoy rappresenta una giovanissima e malinconica vedova, che sovrasta inginocchiata la lapide che elenca i nomi dei caduti, e con una mano lascia cadere alcuni petali di fiore sulla tomba che si immagina essere ai suoi piedi. In braccio, un bimbo troppo piccolo per rendersi conto della tragedia che l'ha colpito, si succhia il dito con innocenza.

Il gruppo bronzeo è collocato al livello degli occhi dei passanti e non sopra un alto piedistallo.

Vero monumento ai "rimasti" e alle loro difficoltà, più che ai caduti, piacque molto proprio per questo ai compaesani, ma non era certo adatto a compiacere i gusti della retorica imperante nel primo dopoguerra.

 

Monumento a Garibaldi (Museo del Paesaggio)

I motivi della scarsa fortuna italiana di Troubetzkoy si comprendono meglio osservando il gesso a grandezza naturale di Garibaldi a cavallo (oggi al Museo del Paesaggio), creato per un concorso e rifiutato perché l'Eroe dei Due mondi è rappresentato come un uomo esausto per le fatiche a cui si è sottoposto, interamente coperto da un poncho che nasconde qualsiasi accenno ad armi o divise militari.

Troubetzkoy ha creato l'opera senza preoccuparsi delle esigenze della committenza, alla ricerca del lato "umano" di Garibaldi, che viene in quest'opera liberato dalla retorica.

Ma in questo sforzo sfugge allo scultore l'aspetto celebrativo per cui nascevano opere come questa. Se ciò può avvicinare la sua arte al gusto dello spettatore del XXI secolo, che è semmai infastidito dalla pompa degli altri monumenti coevi, al tempo stesso candidava Troubetzkoy al rifiuto da parte delle commissioni esaminatrici, che infatti gli preferirono altre proposte.

 

Monumento ad Alessandro III (San Pietroburgo

Maggiore fortuna ebbe all'estero la produzione monumentale di Troubetzkoy. La più nota delle sue opere di questo tipo è la statua equestre dello zar Alessandro III a San Pietroburgo, nella quale però l'artista si lasciò andare a un'impostazione "eroica" e magniloquente di solito assente nelle sue opere. Ciò non impedì comunque che il monumento provocasse aspre polemiche. Malgrado l'opera ricevette il placet dello Zar Nicola essa, secondo l'autore ed il popolo che lo soprannominò "ippopotamo", rappresentava una critica all'impero: un cavaliere obeso opprime con il suo peso un cavallo recalcitrante; il cavaliere rappresenta l'aristocrazia ed il cavallo il popolo.

L'opera fu inaugurata nel 1909 sulla Prospettiva Nevskij vicino al terminale della Moskovskij Vokzal. Nel 1937 la scultura fu spostata sul retro del Museo Nazionale Russo, ma non fu danneggiata, a testimonianza della stima di cui godeva in Russia l'arte di questo scultore.

Dopo la caduta dell'Urss il monumento è stato spostato di fronte al Palazzo di Marmo, al livello del suolo.

 

Opere di minori dimensioni

La parte maggiore delle opere realizzate in Italia, se si eccettua il Monumento a Carlo Cadorna a Verbania-Pallanza (in marmo), sono ritratti privati di personalità artistiche e culturali dell'epoca, di medie dimensioni, o bronzetti di piccole dimensioni, più adatte alla piccola committenza.

Il più famoso di questi ultimi (anche grazie a una vicenda di riproduzioni multiple non autorizzate, che nel dopoguerra ne ha moltiplicato gli esemplari in circolazione) è la statuetta nuda, alta 35 centimetri, di Constance Stewart-Richardson intitolata "La danza" (il gesso originale è esposto al Museo del Paesaggio).

 

Monumento a Giacomo Puccini

La scultura fu realizzata negli anni Venti, e donata dal Teatro alla Scala al Comune di Viareggio, che decise di posizionarla sul Belvedere di Torre del Lago.

 

Esposizioni

·         Accademia di Brera, Milano, 1886.

·         Venezia, 1887.

·         Parigi Expo 1900 (gran premio). In: Art Institute of Chicago

·         Salon d'Autome (Parigi), 1904.

·         De Young Museum (busto di Michael de Young).

·         Galleria Nazionale (Roma).

·         Biennale di Venezia del 1922. (Personale di trentasette opere).

·         Wasp Women Athletic Association (WWAA) 1938

 

Elenco dei musei ed enti che espongono opere dell'artista:

Paolo Troubetzkoy, Ritratto della granduchessa Elizaveta Feodorovna
1899, Museo Nazionale Russo

·         Pinacoteca Tosio Martinengo, Civici Musei, Brescia

·         CimiteroDagnenteArona (NO)

·         Cimitero monumentaleMilano

·         De Young MuseumSan Francisco

·         Galleria nazionale d'arte moderna e contemporaneaRoma

·         Golden Gate MuseumSan Francisco

·         Museo civico Floriano BodiniGemonio (VA)

·         Museo d'arte modernaLugano (CH)

·         Museo del PaesaggioVerbania-Pallanza

·         Museo dell'Accademia Ligustica di Belle ArtiGenova

·         Museo DiottiCasalmaggiore (CR)

·         Museo Casa Natale di Michelangelo BuonarrotiCaprese Michelangelo (AR)

·         Museo RevoltellaTrieste

·         Museo Teatrale alla Scala, Milano

·         Raccolte FrugoneVilla Grimaldi FassioGenova Nervi

·         Villa Belgiojoso Bonaparte-Museo dell'OttocentoGalleria d'Arte ModernaMilano

·         Il Divisionismo. Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona[2]

·         MVSA, Museo Valtellinese di Storia ed Arte, Sondrio